di Annalisa Audino
Quanti di voi sanno che non c’è solo la grande macchia di petrolio della British Petroleum che se ne va a zonzo per i nostri oceani? Dite la verità….non molti, vero? Ebbene, c’è anche una grande quantità di plastica che galleggia ormai da anni e sembra non voler smettere di crescere.
Per fare un esempio esistono vere e proprie isole di plastica sia nell’oceano Atlantico che in quello Pacifico. A scoprire l’isola dell’Atlantico è stata Kara Lavender Law, una ricercatrice inglese che, dopo 20 anni di studi effettuati con un’equipe di scienziati della Sea Education Association, ha individuato l’inquietante isola a largo delle coste di Miami. Ma negli ultimi decenni numerosi studiosi hanno effettuato oltre 6000 “battute di pesca” nell’area dei Caraibi per analizzare i residui di plastica.
«Abbiamo trovato una regione in cui i frammenti sembrano concentrarsi e persistere per lungo tempo - ha spiegato la ricercatrice alla Bbc - più dell'80% della plastica che abbiamo accumulato viene dalla zona tra i 22 e i 38 gradi nord di latitudine».
La densità della plastica, nella zona, è di 200 mila frammenti per chilometro quadrato, la stessa rilevata nella “Pacific Garbage patch”, area grande quanto il Texas dove si accumulano rifiuti di plastica provenienti da tutto il mondo, situata nel nord del Pacifico.
Gli studi continuano inarrestabili, anche per comprendere come far fronte velocemente al problema. Inafferrabile e ormai tanto distesa da non essere facilmente misurabile, il mostro di plastica galleggiante è stato documentato in diversi modi e, in particolare, studiato ultimamente da una specifica missione scientifica composta da 30 studiosi che per tre settimane hanno vissuto a bordo di una nave ed hanno osservato movimenti e composizione del “mostro”. Finanziata dalla Scripps Institution of Oceanography della California University di San Diego, la nave ha solcato la zona del Pacifico per analizzare la composizione della zattera di rifiuti, che circola in forma di nebulosa estesa per oltre cento chilometri, continuamente rimescolata dalle correnti tra le Hawaii e il Giappone, e per studiare anche gli organismi che vengono a contatto con la macchia e l’impatto della stessa sul sistema ecologico.
E’ facile immaginare che i pezzi di plastica fanno ormai parte nella catena alimentare degli habitat marini: alcuni sono talmente piccoli da essere invisibili ad occhio nudo e altri sono tenuti insieme da una struttura gelatinosa che secondo alcune ipotesi cattura come una spugna anche altre sostanze inquinanti, come pesticidi e idrocarburi. Questa minaccia plastificata si muove da Nord a Sud in una fascia di circa 1600 km, secondo le correnti, gli eventi atmosferici e le temperature dei mari.
Insomma, è ora di intervenire, oltre che di essere informati concretamente su quello che accade sul nostro povero pianeta. È così che la Electrolux, nota azienda di elettrodomestici, ha deciso di sensibilizzare la popolazione sul ciclo dei rifiuti e sulla necessità di trattare la plastica con più attenzione, proponendo, oltre ad una vera e propria serie di prodotti “ecologici”, anche una lodevole iniziativa per utilizzare la plastica navigante come una vera e propria miniera. Il progetto denominato Vac from the sea, presentato con un video, sui più comuni social network e non solo, coinvolge numerosi volontari che pescheranno i materiali dalle acque in giro per l’oceano Pacifico e Atlantico, il Mediterraneo e i mari nordici.
I residui, provenienti da discariche di tutto il mondo, verranno trattati per essere riciclati e creare degli aspirapolveri da esposizione.
Gli elettrodomestici non sono infatti destinati alla vendita ma vengono esposti per sensibilizzare le persone sullo stato di emergenza dei mari ormai pieni di plastica, sul corretto smaltimento dei rifiuti e per promuovere l’utilizzo di plastica riciclata nel settore industriale.
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