" Il blog di chi vuole ripensare l'usa e getta, trovare alternative sostenibili e condividerle con gli altri prendendosi cura del proprio territorio"


firma la petizione



sabato 16 gennaio 2010

A proposito di shopper e contenitori biodegradabili



In generale, gli imballaggi sono cose utilissime: pensate solo ai tempi antichi, quando molto di quello che si produceva in agricoltura andava perso perchè andava a male o se lo mangiavano i topi. D’altra parte, gli imballaggi moderni sono spesso a base di materiali non rinnovabili (plastiche). Anche quando sono riciclabili, per esempio alluminio, vengono riciclati solo in parte e spesso in modo poco efficiente.
Inoltre, siccome costano poco, tendiamo a usarli in misura maggiore di quanto non sia necessario: questo è quello che si chiama “‘iperimballaggio”. Questa situazione ci porta a dei costi elevati, alla produzione di una grande quantità rifiuti e a dei problemi di dispersione degli imballaggi nell’ambiente: pensate solo ai danni che fanno i sacchetti del supermercato che si trovano sparsi per i boschi e le campagne.

Per evitare questi problemi, vorremmo che gli imballaggi scomparissero rapidamente dopo l’uso. Per questo si cerca di fare imballaggi che siano biodegradabili e compostabili; due proprietà strettamente correlate. Ma non basta che l’imballaggio scompaia dalla vista dopo l’uso. Bisogna che sia compatibile con un uso corretto delle risorse. Anche un polimero di sintesi come il polietilene è compostabile e biodegradabile, se gli si da abbastanza tempo (anni). Ma il polietilene si crea a partire da risorse finite ed esauribili e dalla sua decomposizione si generano gas serra che vanno a incrementare il riscaldamento globale. Quello di cui abbiamo bisogno è di imballaggi che non siano soltanto biodegradabili e compostabili ma sostenibili. Ovvero, vorremmo che sia possibile “chiudere il ciclo” della produzione partendo da materie prime rinnovabili e riciclando o riutilizzando tutto dopo l’uso.

Da qui nasce l’idea dei polimeri creati a partire da materiali di origine biologica. Questo concetto si esprime anche con il termine “bioplastiche”. In linea di principio, questi polimeri sono sostenibili; in quanto il risultato di un processo sostenibile. Ovvero, la CO2 emessa nell’atmosfera dalla loro degradazione ritorna nel normale ciclo biologico. Sono anche più facilmente biodegradabili e compostabili dei loro equivalenti artificiali. Il MaterBi, costituito principalmente da amido di mais, è uno di questi polimeri. Teoricamente, le bioplastiche ci possono risolvere un sacco di problemi. Nella pratica, però, possiamo considerare il MaterBi e le altre bioplastiche sul mercato come veramente sostenibili? Ovvero, possono chiudere veramente il ciclo produttivo?

In generale, un prodotto si può considerare sostenibile a due condizioni: a) che nella produzione vengano utilizzati esclusivamente materiali sostenibili, ovvero riciclabili e b) che l’energia utilizzata per la produzione sia esclusivamente di origine rinnovabile. Questo viene detto anche il principio “cradle to cradle”, ovvero “dalla culla alla culla”. Per verificare quali prodotti si possono definire sostenibili, ci sono molteplici certificazioni o “ecolabel”. La certificazione che è probabilmente la più seria e la più stringente che abbiamo oggi è quella detta “C2C” (cradle to cradle) sviluppata dalla società MBDC (McDonough Braungart Design Chemistry).

Nella lista dei prodotti certificati dalla MBDC non ho trovato nessuna bioplastica. Non è impossibile trovare dei contenitori per alimenti sostenibili; ce ne sono due: Be Green Packaging, LLC e Earth Buddy Ltd. Entrambi, però, non sono bioplastiche, ma sostanze a base di fibre vegetali. Ci sono delle buone ragioni per la mancanza di bioplastiche nella lista; principalmente il fatto che derivano da prodotti di un’agricoltura che non è sostenibile. Questo lo vediamo bene, per esempio, nel caso del MaterBi. Dalla tabella di Pimentel riportata all’inizio di questo post vediamo che la coltivazione del mais richiede grandi quantità di combustibili fossili in varie forme.

Possiamo quantificare approssimativamente l’uso di fossili confrontando il materbi e il polietilene – che è interamente di origine fossile. Abbiamo detto che il mais richiede circa il 25% di energia fossile per la sua produzione. Consideriamo poi che un sacchetto di MaterBi pesa circa il 50% di più di uno di polietilene. Teniamo conto, infine, che il MaterBi non è tutto di origine naturale ma contiene una frazione di materiali di origine fossile. Il risultato finale è che usando un sacchetto di MaterBi si risparmia energia fossile, certamente, ma probabilmente non molto di più del 50% rispetto a un equivalente sacchetto in polietilene. E’ senz’altro un miglioramento, ma siamo lontani dalla possibilità di chiudere il ciclo utilizzando sostanze completamente naturali.

Tutto questo non vuole demolire l’idea di usare le bioplastiche come contenitori: è sempre bene evitare l’errore di rinunciare al buono in attesa del meglio. Ma, certamente, al momento attuale, le bioplastiche sono materiali lontani dall’essere completamente soddisfacenti: nel futuro dovremo fare di meglio. L’imballaggio perfetto potrebbe essere la buona vecchia borsa della spesa in fibre naturali, certamente sostenibile e anche molto economica perché riusabile un gran numero di volte. Ma potrebbe anche essere qualcosa basata sul concetto del cono che regge il gelato: un materiale sostenibile che sparisce senza lasciare nessun residuo. Un imballaggio del genere potrebbe anche essere di bioplastica, posto che questa sia veramente sostenibile. Questo dipende, a sua volta, dalla capacità che avremo di trasformare l’agricoltura attuale in un’agricoltura sostenibile. E’ una sfida immensa dalla quale dipende la nostra stessa sopravvivenza a lungo termine; ben più importante della sopravvivenza dei sacchetti del supermercato!

Tratto dal Blog di Aspo Italia -Ugo Bardi

3 commenti:

  1. In questo articolo non si tiene conto di uno dei fattori fondamentali ( forse il più rilevante ) che porta a considerare le bioplastiche come, già adesso, un importante anello nella catena o filiera della sostenibilità. Non si considera infatti che, per esempio, i sacchetti realizzati con bioplastiche bio-compostabili da fonte rinnovabile ( amido patata, amido di mais, etc. ) sono necessari per la raccolta dello scarto umido organico domestico che viene successivamente utilizzato per produrre un fertilizzante naturale ( il compost ) della quale prosuzione l'Italia è leader mondiale con più di 1,3 milioni di tonnellate prodotte e più di 100 aziende produttrici sul territorio. Affinchè un sacchetto ( o una borsa per la spesa ) sia idoneo a tale funzione ( ricordo che oggi in Italia la frazione umido organico rappresenta ben il 35% dell'intera raccolta differenziata ) deve essere conforme alla Normativa Europea EN 13432 ( recepita i Italia come UNI EN 13432 ) sulla compostabilità e biodegradabilità. Oggi questo è sicuramemnte il vero e 1° riferimento. Quindi, quando si valuta l'impato delle bioplastiche, non si può prescindere dal fatto che già adesso il ciclo ( almeno in Italia ) si chiede perchè 1) è un obbligo di legge fare la raccolta differenziata dell'umido organico domestico 2) i sacchetti o le borse bio-shoppers o, comunque, articoli prodotti in bioplastica biocompostabile conformi alla Norma UNI EN 13432, ritornano alla terra una volta smaltiti nella frazione umido organico domestico sotto forma di fertilizzante organico.

    Giovanni Salcuni

    RispondiElimina
  2. Alcune precisazioni visto che questo intervento che abbiamo selezionato faceva riferimento ad altri interventi precedenti postati dal Prof.Bardi in cui si considerava
    un utilizzo massiccio della bioplastica come sostituzione, a pari quantità, del consumo attuale di shopper. Sommando inoltre la quantità di bioplastica necessaria per gli shopper alle quantità necessarie per fare altri imballaggi e contenitori biodegradabili più pellicole , teli per la pacciamanatura , vasi per la vivaistica,stoviglie , pannolini, e altre mille applicazioni attualmente allo studio, risultava evidente una maggiore necessità di coltivazioni per uso non alimentare. Viste le conseguenze dirette e indirette che la produzione di biocarburanti e biogas sta avendo a livello mondiale è chiaro che non si possa correre il rischio di accellerare una crisi alimentare. Il discorso pertanto è di puro buon senso, sostituire l'usa e getta con il riutilizzabile dove il riutilizzo rappresenti la soluzione a minore impatto ambientale e usare la bioplastica per le applicazioni in cui questo materiale rappresenta la soluzione meno impattante.
    Vedasi ultima direttiva europea in materia gestione dei rifiuti.
    Gli italiani che fanno la differenziata non hanno bisogno di fare incetta di sacchetti per ogni 500 grammi di acquisto perchè verranno riforniti degli appositi sacchetti dai comuni o andranno a comperarseli nelle versioni a rotolo. L'idea del riutilizzo dello shopper per la spazzatura ha giustificato nelle famiglie un immagazzinamento fuori misura di centinaia di sacchetti inutili, come forma e dimensioni che riempono le discariche e il mondo. Per quanto concerne il nostro parere la ricerca deve trovare sempre soluzioni migliorative, senza mai fermarsi, anche per quanto concerne il compostaggio industriale. Non è detto che i sacchetti in bioplastica (costituiti per un 50% di materia che deriva comunque dal petrolio anche se trattata per renderla biodegradabili) si dimostrino in futuro la modalità ottimale per dare origine a un compost di qualità. Accettiamo con interesse accenno a studi in merito.
    La redazione

    RispondiElimina
  3. Anche in questo caso non si tiene conto di un fattore fondamentale. In particolare del fatto che il problema di intaccare la coltivazioni destinate ad uso alimentare è un problema che si porrebbe certamente qualora si ipotizzasse di sostituire gli attuali carburanti con carburanti di derivazione rinnavabile. In questo caso certamente ci sarebbe un problema da risolvere. Tuttavia, sappiamo bene che l'industria dell'auto non sta praticando ( e non intende farlo ) questa soluzione quanto piuttosto quella legata a motori alimentati con soluzioni tecniche diverse ( motori ibridi elettrico-benzina o gasolio, elettrico, a celle di idrogeno ). Per quanto riguarda invece la produzione di bioplastiche, queste rappresentano al contrario una soluzione e non un ostacolo all'agricoltura. Infatti, qui non si tratta di mettere lo stivale Italico a coltivazioni di patate o mais, ma invece di sfruttare al 100% quelle che sono le attuali risorse agricole sottoutilizzate ( o non utilizzate del tutto ). Da alcuni decenni infatti sono in vigore in Europa le cosidette P.A.C. ( Politiche Agricole Comunitarie ) che di fatto hanno portato avanti una politica di incentivazione a non produrre secondo quanto erano le capacita produttive agricole di allora poichè la produzione europea eccedeva del 50% la domanda. Se però ciò era valido decenni orsono, oggi non lo è più. Infatti, puyrtroppo, a causa delle P.A.C. ancora in vigore non si può sfruttare le risorse agricole che già abbiamo . Pensiamo a quante tonnellate di agrumi vengono macerate in Sicilia perchè non trovano sbocchi commerciali. Pensiamo a quanti agricoltori ricevono sovvenzioni "per produrre di meno". Pensiamo a tavoliere delle Puglie, letteralmente incolto, sempre per questa ragione. Quindi, in realtà, si sta discutendo di un falso problema poichè la produzione di bioplastiche al contrario rappresenta un opportunità per la nostra agricoltura e non in contrapposizione con il settore alimentare ma in aggiunta. Stiamo parlando della possibilità di poter tornare quindi a sfruttare pienamente le nostre risorse agricole per quelle che sono le loro capacità produttive già installate. Non a caso la Coldiretti così come l'Associazione Europea Produttori Agricoli vede di buon occhio la produzione di bioplastiche in quanto ciò rappresenta per loro una opportunità di filiera che permetterebbe a tutto il settore di riempire gli attuali vuoti di produzione . Un pratico esempio di sinergia efficiente in tal senso è dato proprio dalla società Franco-Tedesca Biosphere produttrice di bioplastiche , la quale produce anche le patate che servono alla produzione di amido ( come materia prima rinnovabile per le bioplastiche ), patate non ogm di tipo industriale che finalmente hanno trovato uno sbocco commerciale in Francia.
    In merito poi alla c.d. sovra produzione di manufatti realizzati con bioplastiche biocompostabili, la risposta migliore la si può avere contattando direttamente il C.I.C. ( Consorzio Italiano Compostatori )dove si potrà avere conferma che , a fronte di una produzione di circa 1,3 tonnellate/anno di compost organico, in realtà la capacità produttiva installata è ben 3 volte più alta, quindi la capacità di digestione di prodotti realizzati con bioplastiche ( purchè conformi alla Norma UNI EN 13432 ) è chiaramente dimostrata.

    Giovanni Salcuni

    RispondiElimina